FORCA E ROGO PER IL FRATE

 

Elena Bellomo, Forca e rogo per il frate che malediva la corruzione dei potenti



Il cielo primaverile di piazza della Signoria era offuscato dalla fuliggine e dalle spire di fumo che ancora si alzavano dal rogo. Il vento sottile ne sollevava appena la cenere e gli spettatori che lentamente abbandonavano la piazza ne portavano un po' con sé sui copricapi e sui mantelli, macabro ricordo dell'esecuzione appena consumata. Sul palcoscenico della morte era infine calato il silenzio. Il crepitare della legna tra le fiamme, le invettive della folla si erano ormai sopite.

Nessuno dei condannati aveva profferito parola, prima che i loro corpi fossero lambiti dal fuoco la vita li aveva infatti già abbandonati. Fra essi Girolamo Savonarola, l'uomo che per anni aveva con le proprie parole deciso il destino di Firenze. Nato a Ferrara il 21 settembre del 1452.
Egli viveva in una città tranquilla, dove la bestemmia era punita con salate multe, dove l'usura era severamente condannata, eppure nello stesso tempo vedeva i semi della corruzione germogliare intorno a sé.

Gli Estensi, signori della città, erano dediti ad ogni tipo di eccesso e tiranneggiavano il popolo, ma quello che più lo scandalizzava erano le notizie della dissolutezza e corruzione di Roma, delle ricchezze elargite agli stessi uomini di chiesa. Feste, lusso creavano intorno al soglio di Pietro un clima paganeggiante che ben poco si adattava all'ascetico rigore che era stato della Chiesa primitiva.

Le sue parole dal pulpito riuscirono con il tempo a risvegliare l'atavico timore di punizioni ultraterrene ed il senso del peccato, che aveva schiacciato l'uomo medievale, tornò ad annidarsi nelle anime dei fiorentini, ammonendoli contro le insidie della via più larga ed agevole.
Savonarola aveva individuato con rigore e severità i vizi della società a lui contemporanea e contro questi si scagliava nell'intento di emendare i fedeli da tanto peccare.

Egli non ebbe riguardi neppure per la Chiesa e per i suoi ministri e questo portò ad una opposizione nei suoi riguardi che si fece via via più insistente, anche se le persone più attente correvano ad ascoltare i suoi sermoni sempre più convinte e ne decretavano il successo.
Il rifiuto del compromesso, l'intransigente desiderio di seguire nella massima purezza l'ideale cristiano resero però difficili i rapporti di questo asceta con i poteri mondani. Lorenzo il Magnifico, allora signore di Firenze, pretendeva infatti che Girolamo riconoscesse il suo predominio, mentre Savonarola, non approvandone il dispotismo, cercò di avere pochi contatti con lui per evitare una possibile rottura.

Savonarola ricoprì un ruolo di primo piano anche nei mutamenti politici avvenuti a Firenze dopo l'arrivo dei francesi. Piero de' Medici, l'imbelle erede di Lorenzo, era stato infatti cacciato dalla città, che ritornava ad essere democraticamente retta, e Savonarola, forte del prestigio acquisito presso il popolo, favorì la riforma della costituzione fiorentina in senso repubblicano e democratico
Tuttavia, in una città avvezza più allo scontro che alla pacifica convivenza, impregnata di odi e rivalità, Savonarola con la sua instancabile attività diede luogo alla nascita di nuove fazioni contrapposte. Fu così che nacquero in Firenze nuove consorterie: i Frateschi, detti poi spregiativamente Piagnoni (fautori di Savonarola), e i Compagnacci (giovani gaudenti che irridevano il frate domenicano).

Ad essi si affiancavano schieramenti dalle caratteristiche più spiccatamente politiche quali gli Arrabbiati (schierati contro il predicatore e fautori del governo oligarchico), ed i Palleschi, sostenitori del partito mediceo. Passione politica e fervore religioso si mescolavano quindi pericolosamente in un'epoca che ancora non concepiva la divisione tra potere temporale e spirituale e vedeva lo scettro e la tiara in continua competizione per il dominio della società cristiana. Nel 1495 Savonarola, dopo un breve periodo di inattività, riprese a predicare. Diventava però sempre più forte l'opposizione degli Arrabbiati, i quali riuscirono ad ottenere che per decreto il frate non potesse più parlare pubblicamente

A Roma era assurto al soglio pontificio papa Borgia che vedeva nel domenicano un nemico delle sue mire su Firenze, la quale rifiutava, secondo il consiglio di Savonarola, di aderire alla Santa Lega promossa dal pontefice contro la Francia. Sempre più veementi erano inoltre le invettive di Savonarola contro l'indicibile corruzione di Roma, personificata proprio dal pontefice stesso e dai suoi figli, ambiziosi e spietata quanto il padre.

Il 18 giugno del 1497 venne promulgata la scomunica del frate e di tutti i suoi seguaci. All'inizio del 1498 Fra Girolamo riprese la predicazione, convinto di doverlo fare in nome di Dio, anche se in opposizione alla Chiesa. Firenze però rischiava sempre più di pagare questo atteggiamento del Savonarola, che, pregato di fermarsi, non si diede per vinto e continuò in nome di quel Signore al quale aveva sempre obbedito. Firenze, tuttavia, rischiava l'interdetto, una misura punitiva che privava i fedeli dei riti sacri, senza però rifiutare loro la comunione con la Chiesa, ma che poteva sul piano pratico portare all'isolamento della città con gravi danni economici. Diventava perciò sempre più necessario per una parte dei cittadini far tacere Savonarola, poco importava che egli fosse colpevole o innocente.

Per il bene della città era necessario che la sua voce non turbasse più gli ingenti interessi che rischiavano di venire lesi dall'interdetto.
La domenica delle palme gruppi di Compagnacci si avviarono verso San Marco. Lungo il cammino bruciarono la casa di Francesco Valori, gonfaloniere e seguace di Savonarola, uccidendo sua moglie, la domestica ed un bimbo in fasce. Lo stesso Valori venne assalito per strada ed assassinato. Questi esaltati proseguirono poi verso la loro meta. Qui trovarono i frati in preghiera, ma ugualmente li assalirono. Ne nacque uno scontro che lasciò sul campo ben cento vittime tra morti e feriti. Fra Girolamo decise allora di consegnarsi alle autorità fiorentine.
Per decidere il destino del frate domenicano e di tre suoi confratelli venne quindi convocato il Gran Consiglio.

Nel tribunale che avrebbe giudicato Savonarola furono sostituiti alcuni membri a lui favorevoli con altri suoi oppositori in modo tale da avere la certezza di una sua condanna. Savonarola fu anche torturato perché si voleva da lui la confessione di aver tramato contro lo Stato.

Il 19 maggio da Roma arrivò la delegazione che recava la sentenza di morte che il papa stesso aveva firmato. Cominciò quindi il processo ecclesiastico e con questo ripresero anche le torture, finché non si arrivò alla condanna definitiva.